giovedì 16 luglio 2015

Le terre di Hagorbad




"Nella regione ero l’unico a possedere delle serre, poiché in questo paese esse vengono usate solo dai principi per custodire i più bei fiori dei loro castelli, ma non dai contadini! Certo, le serre sono molto costose, ma il beneficio per i frutti e gli ortaggi coltivati è più che considerevole" ("Le memorie di Helewen").


giovedì 9 luglio 2015

Recensione de "Le memorie di Helewen" su Cronache di un Sole Lontano



Il sito di fantasy e fantascienza "Cronache di un Sole Lontano", ha pubblicato oggi una bellissima recensione del romanzo "Pirin - Le memorie di Helewen" firmata dalla scrittrice Artemisia Birch, che riportiamo qui di seguito:

Un cammino costellato di luci e ombre, apici e abissi, ostacoli e imprese eroiche quello in cui ci conduce Sebastiano B. Brocchi, giovane autore svizzero nato il 18/03/1987 a Lugano, dove tuttora risiede. Appassionato ed esperto in storia dell’arte, filosofia ermetica, simbologia sacra e alchimia interiore, Sebastiano B. Brocchi ha pubblicato nel 2004 la sua prima opera “Collina d’Oro-I Tesori dell’Arte”, nel 2005 “Collina d’Oro Segreta”, nel 2006 “Riflessioni sulla grande Opera”, nel 2009 “Favole Ermetiche” e nel 2011 “L’Oro di Polia” (casa editrice Kimerik).
"Le memorie di Helewen" è il primo libro della Saga dei Pirin, popolo di semidei delle alte montagne d’Oriente, di cui ben poco è noto.

Durante la primavera del sedicesimo anno dell’Ottava Era del mondo, il fiume Pafantehes-yedo è solcato da una zattera che trasporta verso la Villa delle Magnolie un uomo, una donna e un ragazzo di quindici anni dalla carnagione scura e su una sedia a ruote, Nhalfòrdon-Domenir, Splendente Narciso. Quella sarà l’ultima volta che egli vedrà i suoi genitori, diretti in una spedizione alla scoperta di terre sconosciute di oltreoceano. Il ragazzo viene affidato al padrino Helewen, un nobile signore di 240 anni, dotato di eterna giovinezza, poiché appartenente alla stirpe dei Pirin.
Seguirà un racconto sulle origini e le usanze di quel popolo e del regno di Lothriel e Domenir sarà incaricato di scriverne le molteplici storie senza trascurarne i particolari.
L’arrivo di Domenir presso la dimora di Helewen viene presentata dall’autore come un affresco dalle tinte vivide e soffuse, così come le numerose descrizioni che accompagnano la lettura, descrizioni precise e dettagliate, ma simili a pennellate filtrate con la lente del sogno. Ne risulta un quadro ricco di fascino ed estremamente funzionale alle vicende narrate.
Dal racconto dei Helewen prende vita un dedalo di storie che si intrecciano con sapiente leggerezza, dal raro pregio di saper scendere nella profondità dell’animo dei protagonisti, e inevitabilmente in quello del lettore, per intraprendere un cammino di trasformazione, simboleggiato da contrasti ricorrenti tra ombra e luce, sole e tenebra: “Avvenne, perciò, che una giovane libellula, nascosta sui fondali, vide come Uhilyn amò Theoson. Poco tempo dopo, la libellula emerse e compì la propria metamorfosi, involandosi leggera nell’aria. Fu lei a rivelare alla luce ciò che si era compiuto nell’oscurità del lago”. Un percorso attuato tramite l’uso di oggetti magici. Sono proprio tali oggetti che sublimano e sostengono l’animo già incorrotto dei protagonisti, portandoli a compiere imprese impossibili. Basti pensare all’orafo Theoson, in grado di forgiare il metallo per eccellenza, l’oro, che nell’ottica alchemica è ricerca spirituale, anelito di perfezione.
I protagonisti usano oggetti dati loro in dono per riconoscenza da persone/creature salvate da pericoli e difficoltà, grazie al cuore retto e altruista di colui che intraprende il viaggio. Ed è proprio la purezza di cuore il presupposto essenziale per poter ambire alla trasformazione. Non a caso, ciò che spinge alle difficili imprese è il più alto dei sentimenti, l’amore.
Le vicende proposte rimandano ad uno stretto rapporto uomo/natura, un serrato connubio con il mondo animale e vegetale, che concorrono, e a volte ostacolano, il raggiungimento delle mete prefissate. E a volte capita di dover guardare alla propria parte oscura, simboleggiata dal dente di drago, in modo da potervi ricorrere per respingere i pericoli, o doversi servire di stratagemmi per la manipolazione del tempo, nel caso dello specchio o delle calzature del druido, o ancora avere come guida colei che distilla il nettare e dimora in casette esagonali, l’ape d’oro, in grado di indicare la via giusta.
Tutto viene evocato con una grande padronanza dei contenuti esternati e di quelli taciuti, donando alla linea narrativa visibile una solidità imponente, cementata da ciò che giunge dal basso e si rivela ai soli occhi dell’intuizione. Nonostante ciò, la scorrevolezza risulta evidente, sostenuta da un linguaggio fiabesco e a tratti arcaico: “… mi catturò e legò ad una betulla con cordami fatti di resina, rugiada e vento”.
Realtà latente e mai scontata è quella divina, incarnata dagli dèi quali Ghaladar, dio del Sole, che racchiude in sé la perfezione del tempo, rappresentata dai simboli del disco solare alato, della ruota, della svastica e dell’esagramma. Il dio del Sole si unisce per amore ad una creatura fatata, appartenente al popolo dei fiori, ma dal tradimento perpetrato dalla fata per amore di un uomo, ha origine il popolo dei Pirin. Quella che unisce l’umanità alla divinità è un’altra relazione di grande importanza. Il divino non vive per sé stesso, è in stretto rapporto con colui che lo contempla e riconosce la sua immanenza: “Ricordatevi che la mia luce brillerà finché la onorerete. Se dimenticherete di mantenerla in vita rivolgendo a lei il vostro animo, allora essa vi lascerà, e non avrete più, nel mondo, altra guida che voi stessi.” Se guardare qualcuno, o qualcosa, significa rivolgere a lui il proprio animo, allora significa amarlo, e ciò apre le porte alla magia che tale contemplazione inevitabilmente suscita.
L’elemento magico è, così, parte integrante delle avventure e del vissuto del singolo, a patto che si resti nell’ottica del Fantasy, in cui, secondo l’autore “Lo straordinario si identifica nell’ordinario e magico diventa ciò che solitamente, nella vita di tutti i giorni, viene dato per scontato, così i sentimenti umani diventano qualcosa di sacro, vere magie. Ed è eccezionale come talvolta sia più facile riconoscere la magia della nostra realtà soltanto vedendola riflessa nello specchio dell’immaginazione. Perché lì, anche una cosa semplice, la più umile, viene distillata fino ad attingere una sfera epica, divina, fatata, in grado di assorbire la nostra attenzione e la nostra ammirazione.

Particolare da non trascurare sono le numerose illustrazioni, splendide immagini scaturite dalla potente vena creativa dell’autore, che ci mostra, oltre ai personaggi, mappe, divinità, popoli, flora, fauna, alfabeti, numeri, calendari, stemmi e simboli con una chiarezza e una sistematicità che stupisce e ammalia.
Le memorie di Helewen è un libro da leggere tutto d’un fiato, ma anche da soppesare con attenzione, perché rimanga un’indelebile esperienza di conoscenza e di sfida, salvo poi arrivare all’ultima pagina e accorgersi con sorpresa di aver superato solo la prima prova…

giovedì 2 luglio 2015

Eselmir e le creature fatate



Pubblichiamo oggi uno screenshot inedito dal videogioco ancora in fase di sviluppo "Eselmir e i cinque doni magici" (Stelex Software). In questa immagine del gioco assistiamo all'incontro con una delle tante creature fatate che popolano il mondo di Gaimat. In questo caso una delle Wifenpi, ovvero le Nereidi o Ninfe dei mari. Questa stirpe di Fate non è descritta nel romanzo "Le memorie di Helewen", a dimostrazione di come l'avventura grafica prodotta da Stelex ci permetterà di scoprire molti nuovi aspetti di questo universo fantasy, anticipando almeno in parte personaggi, luoghi ed eventi che ritroveremo nei prossimi volumi della trilogia letteraria...